LUCREZIO
Brani tradotti ed analizzati dal De rerum natura:
Il sacrificio di Ifigenia e l’empietà della religio (I, 80-101)
Testo originale Haud igitur redit ad nihilum res ulla, sed omnes
discidio redeunt in corpora materiai. postremo pereunt imbres, ubi eos pater aether in gremium matris terrai praecipitavit; at nitidae surgunt fruges ramique virescunt arboribus, crescunt ipsae fetuque gravantur. hinc alitur porro nostrum genus atque ferarum, hinc laetas urbes pueris florere videmus frondiferasque novis avibus canere undique silvas, hinc fessae pecudes pinguis per pabula laeta corpora deponunt et candens lacteus umor uberibus manat distentis, hinc nova proles artubus infirmis teneras lasciva per herbas ludit lacte mero mentes perculsa novellas. haud igitur penitus pereunt quaecumque videntur, quando alit ex alio reficit natura nec ullam rem gigni patitur nisi morte adiuta aliena. |
Traduzione a fronte Non ritorna dunque al nulla alcuna cosa, ma tutte
per disgregazione ritornano agli elementi della materia. Infine, scompaiono le piogge, quando il padre etere le ha precipitate nel grembo della madre terra; ma ne sorgono splendide messi, e i rami degli alberi rinverdiscono, gli alberi stessi crescono e si caricano di frutti; di qui si alimentano poi la nostra specie e quella delle fiere, di qui gioconde città vediamo fiorire di fanciulli, e frondose selve d'ogni parte risuonare dei canti di nuovi uccelli; di qui le greggi s'impinguano e stanche distendono i corpi sui pascoli rigogliosi, e il candido umore del latte stilla dalle mammelle turgide; di qui una prole novella con membra malferme allegramente ruzza tra l'erba tenera, di latte puro inebriata la mente giovinetta. Non perisce dunque del tutto ogni cosa che pare perire, poiché la natura rinnova una cosa dall'altra e non comporta che alcuna si generi se non l'aiuta la morte di un'altra. |
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